Otto anni fa, come quel numero stampato sulla sua maglia, moriva Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira, al mondo noto come Sócrates, calciatore brasiliano di ruolo centrocampista e medico. Sì, medico.
Tralascerò di decantare il suo immenso talento calcistico e ripercorrere la sua carriera, ciò che mi preme qui è ricordarlo e comprendere quello che ha rappresentato, nel calcio e fuori. O per meglio dire, quello che ha rappresentato attraverso il calcio, fuori di esso. Perché il campione utilizzò la sua arte come mezzo per dire molto altro.
Occorre contestualizzare per rendersi conto di quanto la vita di quest’uomo dentro quel mondo fu una assoluta anomalia.
Sócrates nacque nel 1954 da una famiglia povera. Il padre però era un volenteroso e autodidatta vorace lettore, con la passione per i classici greci. Studiò e vinse un concorso pubblico, divenendo un funzionario statale e portando la sua famiglia dritta nella classe media, affrancandola dalla fame. La sua preoccupazione principale fu quella di dare ai suoi figli l’istruzione, oltre che i nomi dei filosofi. E così il bambino Sócrates crebbe immerso nei libri che imparò presto ad apprezzare e amare, confrontandosi continuamente col padre su ogni testo.

Era un ragazzo dotato di grande intelligenza e curiosità, così non dovette faticare troppo per conseguire prima il diploma e successivamente la laurea in medicina. I suoi familiari e colleghi dell’università ricordano le sue stupefacenti capacità mnemoniche e la semplicità con la quale immagazzinava dati nel cervello. Era una di quelle persone per cui studiare è una cosa davvero molto semplice.
Quando il destino lo hai scritto sul nome, verrebbe da pensare, eppure andò diversamente, anche se non troppo. Sócrates aveva un piano preciso e una vita organizzata che correva sui binari, sarebbe diventato un medico, ma qualcosa fece deragliare quel treno. Perché quel ragazzo possedeva, oltre che un cervello così raffinato, piedi forse ancor più raffinati. Come ogni brasiliano giocava a pallone fin dalla prima infanzia, ma le sue qualità non erano affatto comuni, così non passò molto tempo perché cominciò a farsi notare, a partire dai campetti delle scuole fino all’università. Cominciò a giocare da professionista nelle serie minori brasiliane proprio mentre era uno studente, e di lì a poco il suo nome divenne una specie di leggenda nei campionati inferiori.

Non passò molto tempo perché approdasse alla massima serie, prima nel Botafogo e successivamente al Corinthians. Così il progetto della medicina fu spodestato a suon di gol, colpi di tacco, pallonetti e ogni altra giocata da fuoriclasse che riusciva a dispensare sui campi verdi.
Insomma, Sócrates divenne Sócrates, il calciatore, il campione.
Ma era diverso da qualunque altro collega che avesse mai calcato un campo di calcio fino ad allora. Già un calciatore-medico, laureato, era una bizzarria non da poco in un periodo storico in cui i calciatori faticavano a finire le scuole dell’obbligo e persino a scrivere. Ma Sócrates non era solo un dottore in medicina e un calciatore sopraffino, era più semplicemente un uomo colto. Un uomo colto che viveva la sua epoca con curiosità e spirito critico, un uomo attento alla società e con una coscienza politica.
Una volta disse che l’episodio che probabilmente segnò maggiormente la sua vita fu quando era un bambino piccolo e fuori di casa una giunta militare, nel 1964, prese il potere del Brasile con un colpo di stato, instaurando una dittatura. Il piccolo Sócrates vide il padre correre a bruciare una montagna di libri, alcuni dei quali parlavano di socialismo e democrazia.
Questo episodio rimase stampato nella sua mente e contribuì a formare l’uomo che sarebbe diventato. La dittatura militare brasiliana durò ventuno anni. Si dice che la dittatura brasiliana era blanda, o meglio non arrivò ai livelli di violenza di quella cilena ad esempio, ma era pur sempre una dittatura e determinò comunque un bel numero di morti e deportati. Era il tempo in cui c’era la tortura, si arrestavano i giornalisti, gli intellettuali, si esiliavano dissidenti e il voto era stato soppresso.
Sócrates crebbe, e si fece uomo, in quel Brasile.
Quando arrivò al Corinthians accadde qualcosa di incredibile. Utilizzò il suo grande carisma e il rispetto di cui godeva in quanto fuoriclasse assoluto della squadra per instillare le sue idee ai suoi compagni e a tutta la società sportiva. A suon di gol e scudetti (ne vinse tre consecutivi) instaurò nel cuore di quel club un’idea politica che divenne famosa col nome di Democracia Corinthiana.
In sostanza fu condottiero e leader non solo dei successi sportivi, ma di una piccola rivoluzione, che poi tanto piccola non era, che riorganizzò il club secondo uno schema collegiale e privo di gerarchia. Ogni decisione riguardante il club veniva presa democraticamente attraverso il voto, e non dei soli calciatori, ma di ogni persona che lavorasse lì con qualunque mansione. Tutte le decisioni vengono prese dallo staff attraverso assemblee in cui si votava per alzata di mano. E per tutte le decisioni si intende tutte, dai pasti, ai ritiri, gli allenamenti e il gioco, questioni economiche e tecniche. Il loro modello tattico in campo era quello della squadra come corpo unico in cui ciascuno completa il compagno.

Sócrates fece entrare il concetto di democrazia e la sua massima espressione che è l’esercizio del voto, dentro quella piccola comunità. Questo modello di autogestione collegiale non si può dire che non funzionò, visti i successi sportivi. Ma non era ancora abbastanza.
Sócrates cominciò dall’interno per poi rivolgersi all’esterno. La Democracia Corinthiana divenne nota nel mondo del calcio e nella società, che nel calcio aveva forse il suo unico sfogo.
Di lì a poco venne anche sbandierata apertamente. Soctrates e i suoi compagni andarono in campo con la frase Democracia Corinthiana stampata sulle loro spalle, proprio sopra il numero.
Sócrates esultava dopo i suoi magnifici gol con il pugno alzato. E la gente lo seguiva. Forse non conoscendo realmente il significato politico di quel gesto, ma perché seguivano il loro idolo, il campione.

C’è una bella intervista a Sócrates di Gianni Minà, in cui lui spiega perfettamente cosa stava facendo. Diceva che il Brasile aveva nel calcio la sua massima espressione popolare. Il calcio era il popolo. Sosteneva che i calciatori, che erano visti come dei, avevano il dovere morale di utilizzare la loro fama per scopi sociali e politici. Si lamentava del fatto che nessuno lo avesse fatto fino a quel momento e in quel contesto in cui il suo popolo era privato del bene più grande, la libertà.
L’intervista è interamente in italiano, perché Sócrates che era arrivato dal Brasile poche settimane prima, parlava già la nostra lingua molto bene. Tutti si domandavano come fosse possibile, lui spiegò che conosceva già l’italiano prima di trasferirsi nel belpaese perché aveva letto i diari di Gramsci. Giusto per dare un’idea del personaggio.
Ma torniamo al Corinthians. Assieme a Sócrates militavano nella squadra altri campioni come Casagrande e Wladimir. La visibilità del Corinthians cresce, e per una squadra di origini proletarie, fondata da ferrovieri e immigrati non è roba da poco. Ma non sono le vittorie nel campionato Paulista ad accrescerne la fama, é la Democracia Corinthiana che dopo aver raggiunto i cuori dei tifosi arriva pian piano alle personalità influenti e agli intellettuali.
Sócrates e i suoi vincono il campionato e portano uno striscione enorme che reca la frase Ganhar ou perder, mas sempre com democracia (Vincere o perdere, ma sempre con democrazia).

Il potere evocativo di questa rivoluzione é enorme, e presto giunge all’apice. Qualcosa sta cambiando.
Un milione e mezzo di persone scendono in piazza nel 1982 con lo slogan Direta Jà, chiedendo a gran voce il ripristino del voto per l’elezione diretta del Presidente del Brasile. Anche se ci vorrà ancora qualche anno perché il Brasile torni ufficialmente e pienamente una democrazia, nel 1982 si terranno le prime libere elezioni dopo vent’anni, le municipali.
E il Corinthians scende in campo con la sua classica maglia bianconera, dove però c’è scritto Dia 15 vote. Per spronare il popolo a riappropriarsi dei propri diritti recandosi ai seggi. Sócrates parla al pubblico e fa comizi. La gente lo ascolta e lo acclama. Per forza, è Sócrates, il dio del futebol!

Il suo contributo al ritorno della democrazia in Brasile non è stato poca cosa. È stato determinate. Attraverso il calcio, lo sport nazionale, del popolo, la cosa più diffusa e sacra di quell’immenso territorio, il Doutor ha veicolato gli ideali di democrazia e libertà in tutto lo stato. È riuscito a dare visibilità e ad amplificare la potenza di quei temi oltre ogni aspettativa.
Tutto ebbe inizio da quella piccola squadra di São Paulo con la democrazia stampata sulle magliette. Che seguiva il suo leader.
Il resto è storia.
Il Brasile votò ancora nel 1984 e adottò una nuova costituzione nel 1988. Sócrates dopo il Corinthians giocò con la Fiorentina, poi il Flamengo e infine il Santos dove chiuse la carriera. In mezzo giocò due mondiali, quello del 1982 ce lo ricordiamo tutti, e due coppe America.

Dopo il calcio tornò alla medicina, incise un disco, scrisse poesie e aumentò le dosi di alcolici e sigarette che usava consumare. Ma la cosa che fece più d’ogni altra è conversare. Sócrates dialogava, adorava parlare e ascoltare, confrontarsi di continuo con chiunque, capire, leggere, conoscere. Una delle sue ultime interviste è del 2011, mentre il Brasile correva per organizzare i mondiali di calcio nel 2014 come paese ospitante. C’è un uomo lucido che parla con l’intervistatrice, certo un po’ malandato per via del suo stile di vita senza freni, ma ancora colmo di intelligenza, acume e spirito critico.
I suoi familiari e amici, nonostante preoccupati per le sue abitudini poco sane, tutto quel bere e fumare, diranno più volte che non c’era nulla da fare, Sócrates voleva vivere a modo suo. Voleva godersi la sua libertà e fare le sue scelte. Non gli importava di vivere a lungo, solo di vivere bene.
Vivere a modo suo, e anche morire a modo suo.
Ci riuscì.
Disse che sarebbe voluto andare via una domenica in cui il suo Corinthians vinceva lo scudetto. Il 4 dicembre del 2011 era domenica, Sócrates era in ospedale per l’ennesima volta in condizioni davvero brutte. Si spense mentre il Corinthians vinceva il Brasileirao.
Quel giorno i tifosi piansero il loro amato Doutor e portarono striscioni col suo nome. I calciatori in campo nell’osservare il minuto di silenzio, alzarono tutti il pugno al cielo. E tutti quelli in panchina. E ogni membro dello staff. E tutto lo stadio intero.
È una scena da brividi, quella enorme massa di esseri umani stipati in alte gradinate che alza il pugno al cielo e urla a squarciagola: é, Sócrates!
Descansa em paz, Doutor.