A turno, lo hanno detto tutti: bisogna tornare a 18 squadre! Gravina, Lotito, Agnelli, Dal Pino, Galliani, Abete e moltissimi altri. Ma nemmeno l’emergenza delle emergenze, il Covid-19, è riuscito a fare il tanto agognato taglio: la Serie A a 18 squadre. Siamo molto in ritardo per questa riforma fondamentale, ma siamo davanti a uno dei più grossi totem da aggirare. Il calcio è in crisi e non ne fa mistero, lamentando ad ogni occasione il danno prodotto dalla pandemia, tra stadi chiusi, marketing giù a picco e diritti Tv bloccati, ma ciononostante non si riesce a fare nulla di concreto e si va avanti a 20 squadre.
Le ragioni sono molte, la principale è che nessuno vuole ridurre il numero perché c’è una pioggia di denaro che al momento sfama molte bocche. Esiste quindi una maggioranza in Lega che blocca sul nascere qualsiasi tentativo di riforma. Stare in Serie A garantisce oggi una quota minima di 30-40 milioni di contributi, mentre andare in B significa ridurre la quota a 6-7 milioni per club. C’è poi il cosiddetto paracadute, a chi retrocede vanno 25 milioni se si sono fatti almeno tre anni di Serie A. Ma non cambia la sostanza.
L’attuale format a 20 della Serie A è come un torneo di pugilato in cui si scontrano a random pesi massimi contro pesi mosca. Statistiche alla mano c’è una forbice di 70 punti circa tra la prima classificata e l’ultima. Un’enormità. Se fosse la Moto GP sarebbe come se il primo arrivato doppiasse l’ultimo 4 volte. Ridurre il numero di squadre non sarebbe sufficiente a bilanciare questa forbice ma sarebbe un primo passo, oltre ad avere altri risvolti. Parallelamente dovrebbe accadere lo stesso in B, perché anche lì ci sono 20 squadre e ormai da anni che le due serie sono troppo distanti tra loro in termini qualitativi. Nemmeno la serie C se la passa meglio.

Quando la nostra massima serie aveva 18 squadre c’erano anche ben 4 retrocessioni, 4 su 18 contro le attuali 3 su 20. È logico che nessuno voglia rinunciare a questa quota sicura, è una manna dal cielo, quindi si va avanti con questo pachiderma, lentissimo e zoppicante. È un sistema che si è fatto insostenibile, con calendari intasati in cui è impossibile pensare di recuperare anche una sola gara. E senza metterci di mezzo il maltempo, in tempi di Covid non è difficile immaginare che alcune gare possano dover essere recuperate, come si è visto fin qui.
Nel resto d’Europa, solo la Liga spagnola sembra avere lo stesso problema della serie A, mentre le altre massime serie hanno aperto un dibattito e inziato a programmare i tagli necessari, come la Premier League inglese e la Ligue 1 francese. La Germania dal canto suo è sempre rimasta a 18 squadre (guarda caso) e semmai pensano di tagliare addirittura a 16. C’è anche da capirle le medio-piccole che si oppongono in ogni modo per lo spauracchio della B e del tracollo finanziario, ma se una riforma non si avvia su tutto il sistema calcio finirà per crollare.
Forse, la spallata arriverà da fuori, perché se entro il 2024 (ma si pensa anche prima) dovesse partire la Super Champions allora il sistema non si reggerà più in piedi. Il problema è il tempo, e l’avvento del Covid era il momento perfetto per avviare il cambiamento. Perché una eventuale riforma non può riguardare ovviamente il campionato in corso, e nemmeno il successivo che deve essere quello di transizione tra le vecchie regole e le nuove. Quindi se anche lo approvassero oggi in Lega, se ne parlerebbe nel 2023. Insomma, mai.
