Gira la testa, vero? Io avverto anche un leggero senso di nausea. In poco più di un giorno è cambiato il mondo ed è tornato tutto come prima: un girotondo impazzito che non può non far venire il mal di testa. Ma non è tornato tutto come prima, questo è il problema. Il dubbio atroce è che da questo clamoroso flop non possa venire niente di buono per il futuro. Non è il timore di ritorsioni, nemmeno della possibilità che la Superlega fosse l’unica scappatoia al fallimento per chi ha fatto investimenti troppo grossi, ma la sgradevole impressione che si sia rotto qualcosa. Il calcio è una grande illusione a cui noi tutti abbiamo deciso di credere, una consapevole sospensione della credulità non molto diversa da quella che accordiamo a un film o a un libro che ci commuovono anche se raccontano storie inventate.
La Superlega, pur nella sua effimera e grottesca apparizione sulla scena, ha avuto l’effetto dirompente di squarciare il velo, di rompere l’incantesimo. It’s all about money. Lo sapevamo già, ma averlo detto in modo così scoperto ha un che di osceno. E – da qui la sensazione di nausea – l’effetto di catapultare improvvisamente la Juve e il suo presidente sul banco degli imputati anche fuori dall’Italia. Da noi l’effetto era scontato: qui si sa già che la Juve è per definizione dalla parte dei cattivi. I media italiani non hanno perso l’occasione per dipingere l’operazione, oltre che sordida ed efferata, come un qualcosa che è stato partorito in via esclusiva dalla mente luciferina di Andrea Agnelli. Inter e Milan, innocenti come bambini, candidi come gigli, sembra quasi siano stati cooptati nel progetto controvoglia o addirittura a loro insaputa: gli strali, le critiche, le invettive sono tutte per la Juve e per il suo presidente.
Ma lo sappiamo, la Juve è un fantastico capro espiatorio. L’antijuventinità andrebbe meglio studiata dagli esperti di psicologia sociale: in un paese corrotto e inefficiente ai massimi gradi il bianconero ha la capacità magica di far dimenticare tutti i mali per far convogliare su di sé il risentimento e il disagio generalizzato. Certo, tutto questo a prezzo di qualche acrobazia logica. Per tornare alla Superlega, quelli che imputano alla Juve di volerla perché non riesce a vincere la Champions sono gli stessi che le ricordano che nella nuova competizione finirebbe settima o ottava. Ma va? Adesso che Sconcerti e compagnia cantante hanno aperto gli occhi ad Agnelli rivelandogli questa scomoda verità, sono sicuro che cambierà immediatamente idea! Quelli che da anni gridano al campionato falsato e alla cacciata della Juve dalle competizioni nazionali adesso considerano l’addio un crimine e un tradimento. Ah, povera Juve: come fai, sbagli!

Non solo: se ieri Agnelli aveva la colpa di aver ordito un piano criminale, oggi ha quella di non essere stato in grado di portarlo a termine. Adesso che l’operazione è naufragata, Agnelli (e con lui la Juve) dovrà portare al tempo stesso lo stigma del prepotente e del fallito, dell’arrogante e dell’incapace. A meno di ulteriori novità: la situazione è fluida e non si possono escludere ulteriori sorprese. L’altro ieri Agnelli parlava di un “patto di sangue” tra i promotori della nuova lega e di un progetto che aveva il 100% di possibilità di successo. Oggi si arrende anche lui e l’ultimo soldato giapponese a combattere nella giungla sembra essere rimasto Florentino Pérez. E ora? Il mal di testa si aggrava. Tutta la mia istintiva, profonda contrarietà ad un progetto elitario e oligarchico si scontra con l’istintiva reazione contro tanta retorica fasulla.
La Uefa e la Fifa sono organismi inefficienti e corrotti, capaci di portare un mondiale in Qatar in spregio al buon senso e alla tradizione pur di attingere alla vile (e, a ben vedere, insanguinata) pecunia degli sceicchi, organismi poco trasparenti e incapaci di riformare due competizioni, una mal concepita (la Champions) e l’altra senza senso (l’Europa League – ma non era meglio tenersi la Coppa delle Coppe?) nate con lo scopo di fare più soldi e in oggettiva concorrenza con i campionati nazionali. Vederle ora nei panni dei cheguevara calcistici mentre danno lezioni di moralità ai reprobi è davvero fastidioso. Insomma, dovrei sentirmi sollevato per il fallimento di un’iniziativa che non condividevo, mi trovo invece, di fronte allo shitstorm di questi giorni e ai timori di quelli che saranno gli effetti nel prossimo futuro, nella contradditoria e poco simpatica situazione di chiedermi se tutto sommato, ora, preferirei che la famigerata Superlega avesse successo.
Diciamola in modo chiaro ed esplicito: l’alternativa era tra quella tra essere odiati da chi sta fuori la Superlega ed essere odiati, insultati, disprezzati e magari ostacolati da quelli che avremmo voluto lasciar fuori. Uno scenario orribile che si è risolto nel peggiore dei modi. Che questo destino tocchi alla Juve e non a Inter e Milan, nostri silenti compari di questa fallimentare avventura, è purtroppo nell’ordine delle cose e non voglio spendere altro tempo a indagare questo fenomeno. Resta il dubbio su tutta l’operazione e sulla reale caratura di Agnelli. Ora fioccano i lazzi: si capisce perché gli hanno dato in mano la Juve invece della Fiat, eccetera. Chissà. Il contrasto tra la monumentalità dell’operazione e il modo rocambolesco con cui è crollata è straniante. Da ingenuo osservatore, mi chiedo: possibile che sia stato tutto organizzato in modo così naif? Qual è quel patto di sangue (sorvoliamo sulla terminologia) incapace di impedire una così incresciosa fuga all’inglese?

Ammettiamo pure che i club ricchi siano paradossalmente quelli in realtà più fragili a fronte della pandemia, che siano come i dinosauri che a differenza degli animali più piccoli rischiano maggiormente l’estinzione. Solamente per il nuovo stadio, il Madrid ha investito, a seconda di come si faccia il calcolo, una somma che va dai cinquecento ai mille milioni di euro. Non a caso Pérez ha dichiarato che non possono aspettare il 2024 per la riforma della Champions League, perché “en el 2024 estamos muertos”. Ma se anche la Superlega fosse un tentativo disperato dei pachidermi per non estinguersi, aveva senso questa fuga in avanti senza avere nemmeno la garanzia di un minimo di coesione interna? Forse è presto per dare tutto per concluso. Juve, Madrid and company sembrerebbero oggi in una posizione di maggior debolezza rispetto a ieri nei confronti della Uefa, ma è davvero così? Un colosso come JP Morgan non ha dubitato nell’uscire allo scoperto per confermare l’endorsement finanziario all’operazione.
E Pérez sostiene che i club promotori non hanno pagato penali perché sono ancora dentro il patto. Di sicuro dal punto di vista della comunicazione tutto è stato preparato e gestito in modo sorprendentemente poco efficace: il tema delle promozioni/retrocessioni è esattamente quello che discrimina tra una proposta elitaria e una fair. Quel poco di turnover che la proposta prevedeva andava raccontato in modo molto più convincente e anzi doveva essere un elemento con cui preparare il terreno alla proposta. Invece Agnelli è stato ancora una volta, sia prima sia dopo, molto deficitario sotto questo aspetto. Si vede che non è il suo forte, ma è una lacuna che rischia di costar cara.
Ho una segreta ammirazione per coloro che non si curano di piacere agli altri, ma forse per Agnelli è arrivato il momento di lavorare di più sull’empatia. Sull’Atalanta in Champions era riuscito a dire una cosa, se non giusta, almeno sensata, riuscendo a farla sembrare il lapsus freudiano di un ricco che non vuole il plebeo alla sua tavola. Sulla Superlega, una volta presentata, non è stato minimamente in grado di adottare, scusate la parolaccia, una narrazione convincente. Nemmeno con i propri tifosi, ma questo è un problema cronico. Il problema immediato è come uscire senza troppi lividi da questo pasticciaccio brutto.
