Spigolature europee

Spigolature europee

El paquete

Morata letteralmente massacrato sui media e sui social spagnoli. La roja domina contro la Svezia ma, tanto per la bravura del portiere Olsen quanto per la scarsa vena dei suoi attaccanti, non va più in là di un deludente 0-0. Il più bersagliato dalle critiche è il povero Morata, la cui convocazione aveva già suscitato qualche mugugno, visto che l’escluso eccellente, Iago Aspas, era considerato da molti ben più meritevole del posto. In concomitanza con la partitaccia di Morata arriva la notizia del suo rinnovo con la Juve per un altro anno (alle condizioni dell’Atletico e senza alcuno sconto, sembrerebbe). I tifosi colchoneros si dividono tra la delusione per non essersi liberati definitivamente del paquete e l’ironia su una Juve che, dovesse trovarsi senza Ronaldo e con Morata prima punta, sarebbe da sesto o settimo posto. Temo che Alvaro Morata dovrà convivere fino alla fine della sua carriera con lo scetticismo di chi non lo vede adatto ai grandi palcoscenici, temo che sia uno scetticismo tutto sommato giustificato. A ben vedere tanto lui quanto Higuaín sono due nueve scartati dal Real Madrid perché non ritenuti all’altezza. Diverso il caso Ronaldo, anche se pure nel suo caso il Madrid non ha fatto follie per trattenerlo. Al netto della questione (cruciale) della permanenza o meno in bianconero del portoghese, resta da capire la strategia della Juve e di Allegri sul centravanti titolare. Milik sarebbe alternativo a Morata, anche nei difetti (non è un leader, segna molto ma non moltissimo), a me convince poco come investimento. Gabriel Jesus sulla carta può giocarci accanto o anche al suo posto, come nove, ma non so quanto sia compatibile con Dybala. Vlahovic? Magari. Sarebbe perfetto per partire riserva e, se mantiene quello che promette, rubargli il posto in corso d’opera. Vedremo. Speriamo bene, perché Morata da solo non basta.

In ginocchio

Lotta al razzismo. Il Belgio si inginocchia prima del calcio di inizio, la Russia resta in piedi. Si inginocchia l’Inghilterra, non si inginocchia la Croazia. Non si inginocchia nemmeno la Repubblica Ceca, la cui federazione comunica per supportare la giustizia è sufficiente la scritta Respect sulla manica sinistra della divisa. Il gesto mutuato dalle proteste del movimento americano Black Lives Matter suscita la reazione delle destre europee, più o meno razziste, più o meno xenofobe. In Francia e in Spagna girano hashtag in cui si invita a spegnere la tv se la propria nazionale dovesse inginocchiarsi. Ha ceduto proprio a pressioni di questo genere, a quanto pare, la nazionale francese: i blues sono rappresentati in maggioranza da calciatori di colore, ma sono rimasti in piedi prima del fischio di inizio. È giusto inginocchiarsi? Io penso di sì. C’è un grosso rischio: che un gesto nato come provocatorio diventi una mera forma conformismo politicamente corretto e, in ultima istanza, paradossalmente, un dispositivo di discriminazione tra buoni, civilizzati e tolleranti da un lato e retrogradi, ignoranti e razzisti dall’altro. C’è in effetti una certa ironia nel fatto che paesi con la coscienza sporchissima in tema di razzismo come Inghilterra o Belgio possano dare lezioni al resto d’Europa. Ma più che altro c’è il rischio che si trasformi in un gesto meramente simbolico, in una foglia di fico buona per lavarsi la coscienza invece che in un riflettore che mette in luce le storture. Colin Kaepernick, che lo ha utilizzato per primo, pagando un prezzo altissimo (è senza contratto dal 2017), col suo gesto rompeva il rituale dell’inno americano suonato prima delle partite, mettendo a nudo l’ipocrisia di una nazione che non solo non lo rappresentava ma che maltrattava la minoranza cui apparteneva. Istituzionalizzare la provocazione significa depotenziarla. Ma queste sono tutte preoccupazioni che partono dal riconoscimento della bontà di fondo, cioè dalla fondatezza della protesta. 

Che Guevara 7

Intanto, sorpresa! Scopriamo che Cristiano Ronaldo è il portabandiera dell’anticapitalismo globale. Anni fa, sarei tentato di dire secoli, un Beppe Grillo ancora in piena forma e non ancora diventato capopopolo, prendeva in giro Gianfranco Funari (o era Mike Bongiorno?) dicendo che nelle trasmissioni televisive come le sue si potevano ormai dire e fare le cose più oscene, assurde e fuori luogo, ci si poteva insultare liberamente ma che l’unica cosa sacra era la pubblicità. Si poteva parlar male di tutti e di tutto, ma non del prosciutto che sponsorizzava la trasmissione. Aveva ragione. Il prodotto commerciale, lo sponsor, hanno un’aura di sacralità: sono intoccabili. Ecco perché il gesto di Ronaldo alla conferenza stampa è, letteralmente, rivoluzionario. Sono rimasto completamente rapito da quei dieci secondi in cui ha spostato con sguardo schifato le due bottigliette di Coca Cola, mostrato al mondo una bottiglietta d’acqua e nominato il prodotto sponsor della manifestazione come se dicesse: merda. Impagabile. Ora tutti diranno che lui guadagna miliardi proprio grazie agli sponsor, che non è stato coerente eccetera e forse hanno pure ragione, ma chi se ne frega. Mi diverte immaginare la fibrillazione negli uffici della Coca Cola: me la figuro simile a quella del comando americano quando viene attaccato Pearl Harbor, o a quella del Vaticano quando Ratzinger comunica che vuole dimettersi da Papa. Soprattutto, mi diverte l’idea che spostare due bottigliette lontano dai microfoni possa causare una perdita di 4 miliardi di dollari in borsa: per quanto conosciuto sia Ronaldo, fa sorridere la fragilità di un sistema economico basato sul nulla. Il capitalismo mondiale ostaggio degli influencer.