Buuuuuu
Ora la nazionale è avvolta da un’aura di santità, ma un sassolino dalla scarpa me lo devo togliere lo stesso. Se c’è una cosa in cui noi italiani siamo campioni è la capacità magistrale di riuscire a non prendere mai una posizione netta. Sarà un portato della religione cattolica, più propensa ai compromessi di quella protestante, sarà un’eredità delle tante dominazioni che ci hanno insegnato l’arte della diffidenza e della furbizia, parenti strette del cinismo e del disincanto, chi lo sa. Uno spettacolare esempio di cerchiobottismo italico ce lo ha fornito la nazionale con la sua surreale decisione di inginocchiarsi solo se gli altri decidono di inginocchiarsi. Si stenta a credere a tanta ipocrisia. Non è un giudizio di merito: inginocchiarsi è un atto non banale e io rispetto e per molti versi comprendo chi non condivide la forma di certe manifestazioni. Rispetterei persino chi mi dicesse che rifiuta la responsabilità di prendere una posizione. Ma me lo deve dire chiaro, non inventarsi che la prende solo se la prende anche l’avversario. Suvvia.
Le stelle stanno a guardare
Chi è la stella degli Europei? Nessuno. Il Pallone d’Oro, per quel che vale, rischia di finire di nuovo in mano a Messi per il solo fatto di aver finalmente vinto, pur senza brillare, la Copa America. C’è chi tra il serio e il faceto propone di darlo all’accoppiata Bonucci-Chiellini, chi – più serio che faceto, e questo è preoccupante – suggerisce Jorginho. Molti hanno fatto il nome di Kanté: io dissento, ma non conta; conta di più che lui e la Francia siano usciti dall’Europeo perdendo con la Svizzera. Mbappé ha pure sbagliato il rigore, quindi depenniamo pure lui dalla lista. De Bruyne? Mah. Io forse lo darei a Lewandoski, come premio alla carriera e risarcimento per quello che avrebbe meritatamente dovuto ricevere l’anno scorso. Ma anche lasciando perdere il Pallone d’Oro, nessun nome spicca in modo prepotente, nessun outsider ne esce consacrato come top-player continentale, fatta eccezione, direi, per Chiesa e Pedri. Alcuni tra quelli che interessano noi o che ci potrebbero interessare, come Locatelli, Tielemans, Gosens, hanno fatto un buon Europeo. Altri hanno giocato poco (Kulusevski) o non hanno giocato affatto (Saúl, Aouar, nemmeno convocati). Ronaldo così così, nonostante i gol, ma Ronaldo è un capitolo a parte, per definizione. Insomma nessuna grande sorpresa: ecco, diciamo che se dovessi indicare il giocatore che più mi ha sorpreso forse farei il nome di Dani Olmo.
Viva la mamma
La grande Francia fuori con la piccola Svizzera, chi l’avrebbe mai detto. Veronique sbrocca e si incazza con le famiglie di Pogba e di Mbappé. La lunatica mamma di Adrien dà fuori di matto in tribuna tra gli sguardi attoniti della gente. Sempre meno divertente che fare irruzione a Trigoria armato di spranga, però bisogna riconoscere che lo spettacolino armato dalla sulfurea matrona ha reso ancora più interessante il post-partita di Francia-Svizzera. Anche da una prospettiva juventina: se Rabiot ha giocato un buon Europeo, confermando il millimetrico ma progressivo miglioramento mostrato anche in bianconero negli ultimi mesi (se continua di questo passo, senza fermarsi, verso il 2025 dovrebbe essere il centrocampista più forte del mondo), il confronto ravvicinato con Pogba rende palese la differenza tra un buon giocatore e un fuoriclasse. Al tempo stesso, mettersi a fare un balletto celebrativo di cinque minuti per poi perdere malamente un pallone che riaprirà la partita è indicativo di un’immaturità irreparabile. Madame Veronique qualche ragione ce l’aveva pure. Certo, quale maturità dimostra un professionista che si fa rappresentare dalla mamma? Da una mamma umorale e affetta da incontinenza verbale, peraltro. Premesso che il ritorno di Pogba è quasi certamente un sogno irrealizzabile, tra le due immaturità scelgo comunque la sua. Un po’ perché non c’è la mamma tentacolare di mezzo. Sopattutto perché, almeno, è accompagnata dal talento puro.
Viva la Uefa
La Uefa si prende una pausa dalle minacce ai reprobi e mentre amministra con qualche inciampo un Europeo itinerante (ma alcuni itinerano più di altri), partorisce la riforma che riporterà milioni di giovani ad affezionarsi al calcio: abolita la regola che, in caso di parità, attribuisce un peso maggiore al gol in trasferta. Cosa cambierà? Che qualche partita in più finirà ai supplementari. Per il resto, probabilmente nulla.
Nel frattempo chissà come sta andando, tra sentenze e diffide dei tribunali, la guerra sotterranea contro la Superlega. Qualcosa si muove, ma è tutto sottotraccia. Di certo c’è la vergogna di un fair play finanziario a geometria variabile, che di fronte agli amici qatarioti di Ceferin (organizzatori del prossimo mondiale a 50° all’ombra) si è fatto minuscolo fino a sparire. Il Psg di Al Thani non solo si fa beffe del Fpf con il doping delle sponsorizzazioni fasulle, ma è in flagrante conflitto di interessi con gli affari milionari tra la Uefa e la BeIN del suo uomo di fiducia, Al-Khelaifi, oggi presidente dell’Eca al posto di Agnelli. Chissà se la squalifica promessa a Juve, Barça e Madrid (gli ultimi tre grandi club europei oltre al Bayern a non essere proprietà di fondi americani o cinesi, di dittatorelli mediorientali o di oligarchi russi) non faccia la fine di quella di due anni richiesta per il City ma mai comminata per l’incapacità della Uefa di fornire prove decisive. A proposito: ora la nazionale è avvolta da un’aura di santità (l’ho già detto?), ma sono solo io a ricordarmi che dai documenti di Football Leaks risultavano pagamenti del City a Mancini e a sua moglie attraverso società offshore così da aggirare il Fair Play Finanziario?
