In attesa di giocare una sessantina di altre partite per fare esperienza, Dusan Vlahovic decide di battezzare il suo debutto in Champions con un gol al primo minuto. Il primo pallone toccato è un gol: se il buon giorno si vede dal mattino… Ma con un gol al primo minuto, in trasferta, con Allegri in panchina, il rischio sembra evidente a tutti: pullman parcheggiato davanti alla porta per 89 minuti.
In realtà la Juve cerca di manovrare e di non lasciare tutto il possesso palla al Villareal, ma il Dna non si cambia, la difesa a tre è, ovviamente, una difesa a cinque che costringe la Juve a stare un po’ troppo schiacciata. In un paio di occasioni i sottomarini gialli portano tanti uomini in area e vanno vicini al gol. Parejo e Lo Celso conducono le danze. L’argentino colpisce anche un palo, ma la Juve tiene botta e cerca di replicare ogni volta che può.
La differenza, ma questa è una caratteristica strutturale della Juve di Allegri, è che le palle che arrivano agli attaccanti juventini, a Vlahovic in particolare, sono tendenzialmente di qualità inferiore, perché arrivano su ripartenze un po’ disordinate o, più spesso, con il giocatore marcato. Ciò non impedisce che la Juventus abbia anche un paio di occasioni in cui va vicina al 2-0.
Si va negli spogliatoi con un vantaggio tutto sommato meritato, si rientra in campo con Bonucci al posto di Alex Sandro. La Juve sembra più a suo agio, i ritmi sono bassi e il Villareal non sembra impensierire troppo. Però proprio per questo motivo il lavoro difensivo di Morata e Cuadrado è poco utile e costringe Vlahovic a stare troppo isolato.
La Juve non insiste, le manca la giusta cattiveria, e quando arriva l’errore da matita blu di Rabiot (già fino a quel momento appena sufficiente, molto meglio McKennie) arriva anche il solito rimpianto per non aver insistito nel cercare il raddoppio. Si chiude, guarda caso, soffrendo. Il gol fuori casa non vale niente, ritorno-thrilling a Torino.
