Lunedì sera abbiamo salutato due giocatori che per 17 anni uno e 7 anni l’altro hanno vestito la nostra maglia (quasi sempre) a strisce e anche la fascia di capitano.
Due addi diversi, due sentimenti differenti, ma anche due risposte distinte da parte del tifo juventino.
Trovo un po’ singolare il paragone tra i moti affettivi per Chiellini e quelli per Dybala che nei giorni scorsi ho letto anche su queste pagine.
Un po’ come nella dicotomia risultatismo vs. belgiuochismo.
Come se non si potesse stimare l’uno e l’altro siccome appartengono a due mondi separatisi al big bang calcistico e che sono ormai distanti anni luce e proiettati in direzioni opposte, quando è solo un’apparenza che poi si cristallizza in una differenza pari a pochi metri di campo.
E dispiace anche che Chiellini passi oggi per una pippa mostruosa che ha contribuito al disfacimento del settore difensivo, addirittura decidendone le sorti dei componenti, come se Romero non fosse stato ceduto per necessità economiche e, forse, una non attenta valutazione del giocatore, e Demiral perché rompeva giustamente i cojoni volendo giocare (che poi anche l’anno prossimo il turco avrebbe fatto la riserva, con o senza Chiellini, a meno che non pensiate avrebbe panchinato uno tra de Ligt e Sciacquo).
Anzi, diciamoci la verità: senza Chiello avremmo vinto molto di più, questo pare essere il sentimento di molti.
Ok, è un difensore di un calcio ormai all’estinzione, ovvio che abbia una visione di un certo tipo, che il suo riferimento estetico sia il turbante sudato anziché la rabona taccata di controbalzo.
Il problema non è tanto però la sua visione o concezione del calcio (fermo restando che ha giocato con diversi allenatori e tutti lo volevano titolare: Conte, Allegri, Sarri, Pirlo, Donadoni, Lippi, Prandelli, Ventura, Mancini), quanto il fatto che eventualmente questa visione possa condizionare una dirigenza.
Ma sarebbe una sua colpa, nel caso? Cioè, mi state dicendo che è poiché Chiellini pensa che il calcio sia una trincea (quando anche, il ché è tutto da vedere) che il cortomusismo si è impossessato della Continassa?
Io per una decina di anni ho visto giocare con la maglia della mia squadra uno dei difensori più forti del mondo (nei sette precedenti stava crescendo) e non riesco sinceramente a capire il motivo per cui adesso debba essere considerato alla stregua di un infame (per giunta in possesso di laurea).
Ah, sì, forse quel gesto sparato in faccia ad un arbitro nell’adrenalina della partita più importante della stagione, che era poi la sacra rappresentazione di quello che pensavamo mentre comodamente adagiati sul divano accoltellavamo il resto della famiglia per sfogare le madonne.
E beh, certo, doveva avere altro stile.
Non dico che Dybala alla causa abbia dato di meno, per carità, ma sicuramente non ha dato quello che ci aspettavamo da lui. Abbiamo salutato più che il ricordo di un giocatore la speranza di quello che sarebbe potuto essere e non è mai stato. Il che non significa che non abbia scritto alcune tra le pagine più importanti degli ultimi sette anni, come pure che in parecchie di queste pagine sia risultato mancante.
I due giocatori non si possono paragonare, è evidente.
Per tipologia, per ruolo, per filosofia, sono agli antipodi, esattamente come la loro posizione in campo (oddìo, secondo Acciuga gli estremi sono quanto di più vicino si possa pensare), però sono, come ho scritto prima, nello stesso campo, nella stessa partita, nella stessa competizione.
Non si escludono a vicenda, perché il calcio è fatto di tante componenti (e stranamente, ho visto diversi attaccanti simili a un Chiellini, ma mai un difensore simile a un Dybala).
Certo, ci piace vedere un anticipo, una scivolata, un salvataggio alla disperata, un contrasto ruvido, però ovviamente tutto ciò scompare di fronte al gol, all’assist, alla pennellata, alla sciabolattaaaamorbida.
Non c’è paragone in tutto questo (e come diceva quello, offense sells tickets, defense wins championships) ed è giusto che sia così.
Dybala per due o tre anni per me è stato il giocatore del futuro, quello che doveva crescere un po’ in continuità ed esperienza e poi sarebbe diventato magari un nuovo Del Piero (no, il nuovo Messi no e l’accostamento improvvido è stato uno dei problemi del ragazzo), numero 10 e fino alla fine dei suoi giorni con la fascia da capitano.
Non ci si è neanche avvicinato, purtroppo.
E nel tempo da giocatore in prospettiva fenomenale è diventato giocatore che se stava bene poteva a volte fare la differenza. Che è importante, ma in questo calcio non può bastare.
Non so di chi sia la colpa, se della preparazione (è diventato un bussolotto), se della posizione in campo (un’altra anomalia che però è sembrata tale solo con Acciuga), se della sua tenuta mentale (che non sia mai stato un Tévez lo sappiamo), se per scelte della società (centro del progetto de che?, se non hai mai costruito una squadra che lo assecondasse ma l’hai sempre e solo messo al servizio delle necessità?), ma l’ultima stagione di Paulo è stata per certi versi emblematica: un giocatore in palese e continuo ritardo di condizione, incline agli infortuni muscolari, ma con sprazzi abbacinanti di soluzioni di gioco.
È complicato rinnovare un giocatore del genere per quattro o cinque anni.
Non hai alcuna certezza che i suoi problemi fisici spariscano per magia con l’età che avanza, soprattutto se chi è preposto alla preparazione pare godere di una fiducia illimitata e per quel che mi riguarda ingiustificabile (anche in virtù del confronto con una singola stagione dagli esiti molto diversi).
Come ho detto spesso, mi piacerebbe che in un’altra squadra (e non me ne frega un cazzo se sarà Cartoonia, anzi, ne sarei perfino più contento) tornasse a giocare in un ruolo a lui più consono e a non prendersi neanche un raffreddore, così qualcuno dovrebbe iniziare a farsi qualche domanda.
Ma so già che le risposte sarebbero ancora più fastidiose, nel tentativo di costruirsi un alibi.
E, paradossalmente, in una squadra che funziona ci sarebbe posto anche per uno con problemi fisici.
Coman quest’anno ha messo assieme solo di infortuni muscolari 39 giorni di infermeria con 6 partite saltate (e altrettante in cui non è sceso in campo a ridosso di questi infortuni), però quando c’è viene sfruttato per le sue caratteristiche ed aggiunge il suo ad una squadra che nel complesso funziona alla grande (ok, sono usciti anche loro col Villarreal, vabe’).
Ma è difficile che accada da noi, dove il reparto offensivo è corto da tempo e la mediana piena di mezze calzette, oltretutto in mano a chi non ha saputo dare un minimo di progettualità a questa rosa e ha sempre usato l’unico giocatore di qualità per mettere pezze alla sua improvvisazione.
La serata di lunedì è stata forse anche un’altra occasione persa per la Juve.
Non è stato facile organizzarla dovendo salutare due giocatori di questo livello.
Certo, per Giorgio si trattava dell’addio al calcio, per Paulo dell’addio alla Juve, un addio però che non era una sua scelta (con tutta l’evidenza della narrazione live, sarà anche bravo come calciatore ma non può essere così bravo come attore).
Ma la serata è andata tutta verso Chiellini, omaggiato tra l’altro come non era stato fatto neanche per Del Piero (forse Buffon aveva avuto una mezza festa, la maglia con personalizzazione come ieri per il difensore, ma non mi ricordo molto altro), lasciando all’improvvisazione del pubblico i ringraziamenti per Dybala, quindi nulla di istituzionale, della serie chittesencula.
Forse tra Paulo ed Alex c’era più della comunione rappresentata dal numero di maglia o dal ruolo, ma serpeggiava probabilmente un modo per far capire che non si era più desiderati, qualsiasi fosse il motivo (e nel caso di entrambi la volontà di dire basta non arrivava dai giocatori).
C’era il modo e c’era il tempo per fare di meglio, ma anche questo resta un messaggio.
Che stranamente la società sembra essere in grado di dare solo a chi forse non se lo merita del tutto (anche se, ovviamente, di come siano andate le cose non sapremo mai nulla di certo). E che forse vuole dare anche ai propri tifosi, tanto il rapporto pare essere idilliaco, fra gente che non sa che fine abbiano fatto i soldi degli abbonamenti in epoca pandemica e gli scioperi del tifo organizzato.
Ma nonostante tutto continuano a restarmi comunque un po’ indigesti i fischi nei confronti della dirigenza.
Che avrà sicuramente sbagliato molto in questi ultimi anni, ma rispetto ad altre che abbiamo visto accompagnarci in questo decennio sarebbe da fargli una statua.
Errori che comunque passano per l’acquisto di alcuni dei giocatori più forti del panorama calcistico, voglio dire, c’erano modi peggiori per sbagliare.
Ma questi nove scudetti consecutivi sono stati per certi versi anche una maledizione.
Abbiamo perso l’abitudine all’alternanza, agli errori o ai casi che possono far diventare una stagione non vincente, al fatto che ci sono anche gli altri che nel frattempo sono cresciuti.
Siamo diventati isterici e siamo caduti nel gioco di chi per nove anni ha raccolto le briciole, delegittimando i nostri successi.
L’anormalità è stata il nostro ciclo di nove anni (+1), non il fatto che per due (per ora) non si sia vinto lo scudetto. Ciclo sicuramente facilitato almeno in parte dal crollo delle nostre rivali storiche, ma la loro pessima gestione non è certo una nostra colpa.
Ma il concetto di ricostruzione a volte è difficilmente compatibile con una certa isteria collettiva.
Se si vuole puntare sui giovani si può rischiare di non vincere ma anche di non raggiungere la zona CL che per noi rappresenta un vero e proprio salvagente.
Se però si punta sui giocatori esperti allora manchiamo di programmazione.
È complicato trovare una quadra tra le due cose, soprattutto quando alla guida rimane un tecnico che in un anno non è riuscito neanche in minima parte ad abbozzare un progetto calcistico da rinforzare nei prossimi mercati. Dopo un anno non sappiamo se sarà necessario trovare giocatori per un 433, un 442, un 352, un allacazzodicane.
È chiaro che i nomi di Pogba, Di Maria, Perišić, Paredes, Romagnoli & Co. non mi entusiasmino (anche se per motivazioni molto diverse). Ma lo fanno ancora meno quando so che entreranno in campo senza alcuna indicazione di cosa fare, salvo cercare di capire i momenti della partita.
È questo, per me, l’unico grande errore della dirigenza o, forse sarebbe meglio dire, della proprietà.
