Ripubblichiamo un bellissimo articolo scritto da Willy Signori, esattamente due anni fa, era il maggio del 2020. Un'ode a quel senso di appartenenza proprio del significato profondo del tifo calcistico. E, naturalmente, alla Vecchia Signora.
All’undicesima domenica senza calcio ho capito. Ho capito che non era il calcio a mancarmi. L’ho capito perché non ho sentito il bisogno di andarmi a guardare il campionato tedesco, un torneo per cui non proverei attrazione nemmeno – uso un’iperbole per rendere l’idea – se venisse una pandemia e tutti gli altri campionati fossero sospesi. Ho capito che mi mancava la Juventus FC prima ancora di un pallone lanciato su e giù. Ho capito che non sono Casanova, attratto da tutte, ma sono Cyrano de Bergerac, innamorato di una sola. L’ho capito leggendo le polemiche, facendo il conto dei trofei vinti e persi a maggio. Ho capito che la Juve sono io e io sono la Juve. Più di tutti i giocatori messi insieme.
Più di un capitano che per quasi 20 anni m’ha emozionato, ma decise nel momento più delicato di una stagione importantissima mentre mi stavo giocando uno dei 3 scudetti più belli della mia storia di far uscire una stupida autobiografia, scritta con l’aiuto di un giornalista sempre acido con la Juve per motivi personali, stupidi, trascurabili, di cui non può fregare nulla a nessuno. Quel capitano si illuse di poter fare scacco matto al presidente, nel mezzo della burrasca col campionato ancora in bilico. Ed è per questo che la Juve sono io, perché quel potere di mettere in difficolta una maglia a strisce bianconere non ce l’ho mai avuta e non ho manco mai desiderato avercelo, perché dalla Juve non ho mai guadagnato una lira prima e un euro poi, perché se c’è stato transito di denaro è sempre avvenuto dalle mie tasche verso il club, mai al contrario. Mai un buffet scroccato, una cena pagata, mai. La Juve sono io, per questo ho sempre e solo pagato, vissuto, gioito, pianto. Senza secondi fini, senza beghe sui contratti, sui rinnovi, senza questioni personali.
La Juve sono io. Più di un altro capitano che decide di pubblicare un’altra biografia, scritta sempre a quattro mani con lo stesso giornalista di cui sopra. E non importa quante volte abbia gridato il suo nome o gioito grazie a lui, sarò sempre in credito e sempre nel diritto di guardarlo storto se fa o dice qualcosa che non mi torna.
La Juve sono io, più di un grande dirigente con competenze da fuoriclasse e la passione per la telefonia mobile che, complici altre miriadi di fattori, macchiò indelebilmente la storia della Juventus FC, che poi sono io, e quindi macchiò anche me. Non ricevetti mai un euro o uno “scusa” per quelle lacrime condite con incredulità e sgomento, proprio per questo io sono la Juventus più di qualunque tesserato.
Sono la Juventus più di ogni giocatore, oltre ogni record di presenze perché mai nessuno ha vestito quella maglia per più di 30 anni, come me che imparai ad amarla andando a letto col cuore in gola per la gioia di aver vinto ai rigori col Torino uno stupido spareggio per giocare l’anno successivo in coppa Uefa.
Nessun giocatore indossa quella casacca da 32 anni come faccio io. E non ho mai ridiscusso ingaggi, contratti, premi partita o trofei. Non ho mai avanzato pretese. Ho solo amato e tifato. Per questo la Juve sono io, più di un proprietario, più di un capitano, io sono il mio capitano. Non ho mai mollato il ritiro estivo al secondo giorno, non ho mai dovuto scegliere se passare alla rivale, mai, non mi è nemmeno mai passato per la testa. Non sono mai stato un professionista ed è un vanto, un merito, un marchio di purezza, perché io sono la Juve. In campionato, in coppa, in quarantena, a bocce ferme: io sono la Juve. Con lo stipendio congelato, le ferie finite, la cassa integrazione, i 600€ mai ricevuti: io sono e sarò sempre la Juventus. Che altri la gestiscano, che altri corrano sul campo; io sono la Juve e per amore avrò sempre il diritto, il piacere, il dolore di tifarla, difenderla, criticarla come e quando voglio. E lo farò senza nessun secondo fine. Perché è parte di me, è me.
Sono io.
