Il mio ricordo personale è indissolubilmente legato a quel sinistro assurdo, dal quale partivano traiettorie lunghissime, e spaventosamente potenti. Potenti, precise, chirurgiche. Le sue punizioni, e il suo carattere, in quella Lazio stellare, che se fai oggi l’elenco dei nomi stenti a crederci. E lui ne fu protagonista e leader indiscusso. Ma Siniša Mihajlović, che ci ha lasciati oggi dopo tre anni di lotta contro una leucemia, è stato anche molto altro.
È la seconda parte della sua carriera, quella da allenatore, che lo ha reso un personaggio grande, indipendentemente dai traguardi che ha raggiunto. Perché che avesse carattere – qualcuno diceva un caratteraccio – lo sapevamo già, ma la dimensione dell’uomo in quella seconda parte della sua vita è ciò che è venuto fuori più prepotentemente. Sì, il guerriero, l’indomito, la grinta e la determinazione, ma a sentire i suoi calciatori, soprattutto la sua umanità e i suoi insegnamenti.
I valori, quella schiettezza burbera, quel suo essere così diretto in modo disarmante, la passione e la verità. Che non gli ha mai fatto difetto nella sua storia, nemmeno quando era scomoda. Il Mister, quel ruolo nuovo così cucito addosso, così a fuoco, che ha rivelato in modo profondo la pasta di cui era fatto, rendendolo oggetto di una stima pressoché unanime, tra calciatori, colleghi, presidenti, commentatori. Oggi lo hanno salutato tutti così, anche i suoi compagni di squadra, ciao Mister.
Ha lottato Siniša, come era il suo solito, con tutte le sue forze, ma alla fine si è dovuto arrendere. Una storia finita nell’unico modo in cui non avremmo mai voluto. Il guerriero, un’altra parola accostata perennemente alla sua figura, oggi più che mai nei messaggi di cordoglio. Ma anche i guerrieri perdono, e se è morto perfino Achille, Siniša saprà che non è un disonore. Semmai, il suo cammino umano e sportivo, è stato tutto l’opposto. Buon viaggio.
